Crimini
fascisti in Jugoslavia – La strage di Podhum di Gustavo
Ottolenghi
Podhum
(Piedicolle in italiano) è oggi un piccolo paese della Croazia,
frazione del Comune di Jelenie, a circa 10 km da Fiume, e conta circa
14.000 abitanti. Nel 1942 erano circa 1.000 e faceva parte della
Provincia del Carnaro (capoluogo Fiume) istituita dal governo
fascista nel 1941 subito dopo l’occupazione della Jugoslavia nel
corso della Seconda guerra mondiale. Fu inclusa nei Territori annessi
del Fiumano e della Kupa e divenne, dopo l’incorporazione del
territorio del Gorki-Kotar, la maggiore fra quelle istituite dagli
italiani in Jugoslavia.
L’Italia – entrata in guerra il
10 giugno 1940 a fianco della Germania in ossequio al “Patto di
acciaio” firmato nel maggio dell’anno precedente dai Ministri
degli esteri Ciano e Ribbentropp – aveva attaccato la Jugoslavia
l’11 aprile 1941, penetrando nel suo territorio dalla Venezia
Giulia, dalla Venezia Giulia e da Zara con 7 Divisioni della Seconda
Armata del gen. Vittorio Ambrosio, e da sud dall’Albania (già
annessa all’Italia nell’aprile 1939) con 4 Divisioni della Nona
Armata del gen. Alessandro Pirzio Biroli (in totale 400.000 uomini)
occupando Lubiana il 12 aprile, Spalato il 15 e Ragusa e Mostar il
17.
Per contenere la gran massa dei deportati vennero istituiti
centinaia di Campi di concentramento in Jugoslavia (Kraljevica,
Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Melada, Mamula, Prevlaka, Zlarino,
Janesovac, Sajmiste e nell’isola di Arbe) e in Italia (Gonars,
Visco, Chiesanuova, Monigo, Casoli, Agnone, Colfiorito di Foligno,
Renicci di Anghiari, Fraschette di Alatri) nei quali vennero
rinchiusi complessivamente circa 500.000 individui, dei quali oltre
115.000 morirono per stenti, malattie, fucilazioni, freddo, sevizie
(4.500 su 16.000 prigionieri nel solo “Kampor” di Arbe).
Dall’aprile 1941 al settembre 1943 gli italiani devastarono,
distrussero e compirono massacri in oltre 250 villaggi (Bjelcke,
Krusevice, Brunovic, Repaj, Jabuka, Cajnice, Causevici, Crljenica,
Brnelici, Zoretici, Sasovici, Lastra, Rubezi, Morinje Dolovi, Stub
icki, Milasi, Trnovici, Kukuljani, Podkilavac, Cernik, Kameno,
Mavrinci, Spodnje Bitinje, Gornje Bitinje, Kilovice, Ratecevo,
Cajnice, Cettigne, Ustije, Liubotinja, ecc.) fucilando oltre 200.000
civili e 26.500 partigiani, deportando circa 100.000 persone nei vari
Campi di concentramento (dove ne morirono almeno 12.000) e
distruggendo più di 400 villaggi.
Ad esempio, nella sola provincia del Carnaro, secondo le
disposizioni del gen. Robotti che (aprile 1941) aveva raccomandato ai
suoi soldati di “ammazzare più civili perché sinora non si è
fatto abbastanza”, furono fucilati 1.500 civili, 2.500 partigiani e
altri 20.000 civili vennero deportati, dati alle fiamme 104 villaggi.
In quel contesto il gen. Roatta aveva anche chiesto a Roma, nel
novembre 1942, l’autorizzazione a far uso di gas asfissianti sui
ribelli jugoslavi (così come nel 1936 in Etiopia dal gen. Badoglio),
ma il permesso non fu accordato. Di questi massacri italiani quello emblematico avvenne a Podhum il
12 luglio 1942, assurto a simbolo della ferocia e della crudeltà
delle nostre truppe che si autocelebravano come brava gente, ma
che erano definite dagli jugoslavi come “palikuci” (bruciacase).
Alle ore 8del 12 luglio, domenica, 250 militari appartenenti al XI
Corpo d’Armata del gen. Robotti (ai quali si erano uniti elementi
del 2° battaglione Squadristi emiliani, squadristi fiumani, cetnici
e drappelli di carabinieri) con 5 carri armati entrarono, provenienti
dalle sovrastanti alture di Kikovica ove erano confluite dal giorno
8, nel paese di Podhum e vi bloccarono tutta la popolazione: nel
corso del successivo rastrellamento casa per casa, vennero catturati
tutti gli uomini di età compresa tra i 16 e i 64 anni (120
individui) di cui 108 (alcuni erano riusciti a scappare) furono
subito condotti a una vicina cava e, in un avvallamento ai suoi
piedi, vennero immediatamente uccisi con raffiche di mitragliatrici,
e i loro corpi furono gettati nella cava.
Il paese fu razziato (vennero razziati oltre 2.500 capi di
bestiame grosso – buoi, mucche, maiali, cavalli, pecore – e 1.300
di bestiame piccolo – galline, conigli, oche -) 370 case e altri
124 edifici furono incendiati con l’impiego di lanciafiamme, e
tutti i restanti abitanti (208 vecchi, 269 donne e 412 bambini
componenti 185 famiglie) vennero caricati su alcuni autocarri
sopraggiunti allo scopo e tutti inviati a Fiume. Di qui parte fu
mandata, per nave, al Campo “Kampor” dell’isola di Arbe e
parte, per ferrovia, ai campi di concentramento di Gonars in Friuli e
delle Fraschette di Alatri in Italia. Esauritisi gli incendi, di
Podhum non rimaneva più nulla.
Oggi, nel paese ricostruito di
Podhum, si trovano, a ricordo della strage, un Parco delle
Rimembranze, dedicato al santo Maximilian Kolbe, martire polacco
fatto morire di fame dai tedeschi in una cella del Campo di sterminio
di Auschwitz nel 1941. Esso è circondato da un muro che riporta,
incisi su targhe di bronzo, i nomi dei 108 fucilati, nomi ripetuti
anche sui marmi delle loro tombe situate nel giardino del Parco, al
centro del quale si erge un altissimo monumento a forma di fiore e su
ciascuno dei suoi 108 petali è ripetuto il nome di un caduto. La
strage viene ricordata pubblicamente con una cerimonia nazionale il
12 luglio di ogni anno.
Al termine della Seconda guerra mondiale il Governo jugoslavo
richiese a quello italiano la consegna di 750 persone (fra le quali i
gen. Roatta e Robotti e il maggiore Giorleo) che avevano fatto parte
del contingente di occupazione italiano in Jugoslavia negli anni
1941/’43 per processarli con l’accusa di crimini di guerra. In
ossequio all’allora imperante politica dei Paesi occidentali di
distensione verso quelli “non allineati”, la loro estradizione
non fu mai concessa, nonostante le ripetute richieste. In Italia,
grazie alla infausta amnistia Togliatti (giugno 1946) e alla
successiva “Azara” (settembre 1953) nessuno di questi 750 (né
altri) fu mai processato.
ricordiamoci di chi ha cominciato la guerra
e non dimentichiamolo mai !!!